LETTERA DAI PRATICANTI AVVOCATI DI MILANO AL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA

ESAME DA AVVOCATO 2023: C’È CHI SARÀ COSTRETTO A UNA DOPPIA PROVA DI ABILITAZIONE

La categoria di coloro che sosterranno l’esame da avvocato nel 2023 comprende gli iscritti al relativo Ordine di appartenenza dal 6 maggio 2021 al 7 luglio 2022. Coloro che sono iscritti a far data dal 1° aprile 2022, tuttavia, per potere accedere alla prova dovranno avere prima superato l’esame di fine corso obbligatorio, le cui modalità – peraltro – sono state definite (e modificate) solo ora al termine dei rispettivi corsi, e a poche settimane dalla prova.
Pubblichiamo la lettera indirizzata dai Praticanti avvocati di Milano al Ministro della Giustizia affinché venga disposto, senza discriminazioni, che il mancato superamento della prova non sia ostativo all’accesso all’esame da avvocato!

Milano, 17 agosto 2023

Comunicazione via e-mail

Alla cortese attenzione del Ministro della Giustizia
Dott. Carlo Nordio
p.c. Preg.mo Avv. Francesco Greco, Presidente del Consiglio Nazionale Forense
Preg.mo Dott. Giuseppe Onidei, Presidente della Corte d’Appello di Milano
Preg.mo Avv. Antonino La Lumia, Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Milano

Onorevole Ministro,
a nome di tutti i Praticanti Avvocati dell’Ordine di Milano iscritti al relativo registro dal 1° aprile 2022 al 7 luglio 2022,
intendiamo rappresentarLe la situazione di difficoltà in cui ci troviamo a
seguito dell’introduzione dell’art. 4 quater, comma 10, del D.L. 51/2023, convertito con modificazioni dalla L. 87/2023.

Non vi è dubbio infatti che la disposizione richiamata abbia aggravato una situazione già di per sé caratterizzata da una notevole incertezza, alimentata non soltanto dai ritardi con cui il Legislatore ha disciplinato le modalità concernenti l’esame di abilitazione, ma altresì dalla confusione che ha contraddistinto le regole disciplinanti la Scuola Forense.

A partire dal 1° aprile 2022, a seguito di numerose proroghe, è entrato in vigore il D.M. 9 febbraio 2018, n. 17, il quale ha stabilito l’obbligo per i praticanti avvocati di frequentare un corso obbligatorio per poter essere ammessi all’esame di abilitazione per l’esercizio della professione forense.

In tale contesto, la previsione da parte della L. 87/2023 (in deroga al D.M. richiamato) di una verifica conclusiva della Scuola, intervenuta soltanto poche settimane fa e a ridosso del periodo estivo, considerato il breve lasso temporale che verosimilmente ci separa dall’esame di stato, ci ha colto non poco di sorpresa, in quanto ci saremmo aspettati quel minimo di preavviso che in uno Stato di diritto non può essere negato a chi si appresta a svolgere un esame di abilitazione al
fine di conseguire il proprio posto all’interno della società dopo anni di studio.

Allo stupore per il repentino cambiamento normativo si è poi aggiunta una certa preoccupazione, dettata dalle criticità che, a nostro avviso, investono la disposizione in questione, esponendola così ad eventuali censure di incostituzionalità.

Dalla lettura della norma e alla luce di un’interpretazione sistematica della disciplina nell’ambito della quale la stessa si inserisce, sembrerebbe che l’art. 4 quater, comma 10, introduca un regime fortemente discriminatorio per noi praticanti iscritti al relativo registro dal 1° aprile 2022 al 7 luglio 2022, in quanto, pur rientrando nella categoria generale di coloro che sosterranno l’esame di stato nel 2023 (che comprende gli iscritti dal 6 maggio 2021 al 7 luglio 2022) siamo soggetti ad una disciplina senza dubbio maggiormente gravosa e penalizzante rispetto a coloro che si sono iscritti prima del 1° aprile 2022.

Non soltanto, infatti, abbiamo l’obbligo di frequentare un corso obbligatorio di durata pari a 18 mesi, ma, ai sensi della disposizione sopra richiamata, il rilascio del certificato di compiuto tirocinio, e quindi la possibilità di essere ammessi all’esame di stato, è per noi subordinato al previo superamento di una verifica che si pone quale prova aggiuntiva rispetto all’esame di abilitazione.

Conseguenza immediata di ciò è che all’interno del medesimo ciclo di praticanti si configura la “sottocategoria” composta da coloro i quali, soltanto per il fatto di essersi iscritti successivamente al 1° aprile 2022, ricevono un trattamento discriminatorio e fortemente penalizzante. La diversificazione appena descritta, d’altra parte, oltre a non essere supportata da alcun interesse pubblico prevalente rispetto al nostro interesse ad un trattamento eguale e omogeneo, non si fonda neanche sull’esistenza di differenze sostanziali tra le due categorie richiamate. Al contrario tale distinzione è del tutto contingente in quanto costituisce il mero risultato delle ripetute proroghe che hanno procrastinato l’entrata in vigore del D.M. 17/2018 e, dunque, della Scuola Forense. A ben vedere, il Legislatore avrebbe potuto posticipare l’entrata in vigore del D.M. 17/2018 di soli tre mesi (all’8 luglio 2022) per eliminare la suddetta discriminazione e implementare il nuovo regime come unitario, per tutti i praticanti che dovranno sostenere l’esame di abilitazione nella sessione 2024.

Peraltro la necessità di ancorare l’entrata in vigore della Scuola ad un momento ben preciso era stata espressa dal Consiglio di Stato nel suo parere n. 256/2020, allorché lo stesso evidenziava l’opportunità di rinviare ulteriormente la decorrenza dell’obbligo di frequenza del corso obbligatorio allineandola definitivamente all’entrata in vigore della nuova disciplina dell’esame di abilitazione. In tale contesto il Consiglio di Stato ha suggerito di modificare l’articolo 10, comma 1, del D.M. 17/2018 come segue: «Il presente regolamento si applica ai tirocinanti iscritti nel registro dei praticanti con decorrenza dal giorno successivo a quello di scadenza del periodo previsto dall’articolo 49, comma 1, della legge 31 dicembre 2012, n. 247 e successive modificazioni» e non, invece, come attualmente previsto, dal 1° aprile 2022, indipendentemente dal fatto che la nuova disciplina dell’esame di stato fosse entrata in vigore o meno.

Ad aggravare ulteriormente la situazione di disomogeneità e discriminazione fin ora descritta, si pone la circostanza che, al momento, manca ancora una benché minima uniformità nella gestione delle scuole obbligatorie istituite nei vari distretti di Corte d’Appello, al punto che, ad oggi, solo alcuni Ordini hanno fornito comunicazioni ufficiali in merito alla prova finale. Il silenzio della maggioranza degli Ordini, unito all’approssimarsi delle date utili per sostenere la verifica (tra settembre e ottobre 2023), non può che far temere ulteriori discriminazioni, questa volta su base territoriale, all’interno della stessa categoria istituita dalle norme sopra citate, i.e. tra i praticanti iscritti al registro tra il 1° aprile 2022 e il 7 luglio 2022.

Sotto altro profilo, l’introduzione di un esame finale del corso successiva allo svolgimento del corso stesso sembrerebbe comportare il venir meno di quella corrispondenza che dovrebbe sempre sussistere tra l’interesse pubblico perseguito dalla disciplina legislativa e gli effetti che in concreto la disciplina stessa è idonea a produrre, con ciò ponendosi in manifesta violazione del principio di ragionevolezza. Se, infatti, l’obiettivo che soggiace all’imposizione di frequentare la Scuola è quello di formare i praticanti, di conseguenza quello della verifica finale del corso (definita dal D.M. 17/2018, rispetto a cui l’art. 4 quater comma 10 costituisce una deroga, quale esame di profitto”) non potrà che essere quello di accertare che tale formazione sia avvenuta in modo “profittevole”. Eppure la totale mancanza di un congruo preavviso circa l’istituzione della prova, prevista con la L. 87 del 3 luglio 2023 e che verosimilmente dovrà essere sostenuta tra settembre e ottobre 2023, oltre a porsi in totale spregio al principio del legittimo affidamento, non può che avere come conseguenza quella di rendere difficoltoso il conseguimento di una preparazione adeguata.

Tali considerazioni ci portano a ritenere che la verifica non possa seriamente rappresentare uno strumento diretto a comprovare le conoscenze acquisite durante il corso, costituendo, al contrario, soltanto uno sbarramento diretto ad ostacolare l’accesso alla professione. In tal senso, dunque, qualora la ragione giustificatrice che costituisce il fondamento dell’art. 4 quater, comma 10, dovesse essere rinvenuta nella semplice volontà di limitare l’accesso all’esercizio della professione, dovrebbe per ciò solo essere dichiarato incostituzionale in quanto si pone in manifesto sviamento rispetto all’interesse pubblico perseguito dal Legislatore mediante l’istituzione di una scuola forense obbligatoria.

Le criticità sopra riportate si riverberano inoltre sull’attività amministrativa demandata agli Ordini, la quale non potrà, a questo punto, che essere viziata essa stessa da eccesso di potere per violazione del principio del buon andamento della pubblica amministrazione. Benché infatti gli Ordini stiano tentando, con non pochi sforzi, di rimediare all’imposizione di una prova finale del corso disciplinata ex post rispetto all’erogazione del corso stesso, si trovano nella condizione di doverci sottoporre ad una verifica per lo svolgimento della quale la Scuola non ci ha preparato adeguatamente, incorrendo così negli stessi vizi di irragionevolezza che affliggono l’art. 4 quater, comma 10.

Non nascondiamo, infine, che la disposizione in parola ci appare di dubbia legittimità costituzionale anche sotto il profilo della proporzionalità, considerato che la tutela dell’interesse pubblico consistente nel garantire una sufficiente competenza di coloro che si accingono ad ottenere l’abilitazione per l’esercizio della professione, è già ampiamente assicurata mediante l’espletamento dell’esame di stato, rispetto al quale la verifica si pone quale prova aggiuntiva (non ritenuta invece necessaria per i praticanti iscritti precedentemente al 1° aprile 2022). Ciò consegue al fatto che quest’ultima ha caratteristiche del tutto simili alla prova scritta dell’esame di abilitazione, con la conseguenza che le competenze che entrambe le prove sono preordinate a verificare sono le medesime. In tale prospettiva il principio sopra richiamato, che imporrebbe l’utilizzo del mezzo più mite per la realizzazione dell’interesse pubblico perseguito, a nostro parere non può dirsi rispettato da una disposizione che introduce una verifica altamente penalizzante senza fornire il minimo preavviso nonostante manchi qualsiasi requisito d’urgenza, posto che l’interesse pubblico risulta già ampiamente tutelato.

La mancanza di un preavviso sembrerebbe, in realtà, disvelare i tentativi del Legislatore di rimediare ai propri ritardi, i quali tuttavia non possono legittimamente tradursi in un peso ingiusto per coloro che da molti mesi a questa parte si impegnano ogni giorno al fine di poter svolgere la professione per cui hanno investito anni di studio.

Alla luce di quanto sopra rappresentato, nella speranza che sia ristabilita una situazione di giustizia che possa dirsi degna di questo Paese, Le chiediamo di considerare le nostre richieste affinché il mancato superamento della verifica finale del corso obbligatorio non risulti ostativo all’accesso all’esame di stato.

Con osservanza,

i Praticanti Avvocati dell’Ordine di Milano